Tutta la storia della terapia della malattia di Parkinson è legata ai tentativi, più o meno riusciti, di ovviare alla carenza di un neurotrasmettitore fondamentale per le funzioni motorie chiamato dopamina. Di fatto, nessuna delle tante terapie (si veda oltre) è finora risultata davvero risolutiva, soprattutto sui sintomi non motori come le alterazioni dell’umore, del sonno o il rallentamento cognitivo che non hanno una base dopaminergica. Comunque, nonostante le tante imperfezioni, le terapie usate nei disturbi motori del Parkinson, anche se non hanno risolto la malattia, hanno avuto il merito di dare ai pazienti una discreta qualità di vita.
UN NUOVO TRATTAMENTO – Arriva ora una terapia del tutto nuova di tipo genico, messa a punto dai ricercatori anglo-francesi delle Università di Londra, di Créteil e di Tolosa che, insieme a quelli dei laboratori della Oxford BioMedica, ne hanno dato notizia sulla rivista Lancet: il nuovo trattamento potrebbe finalmente risolvere alla radice la malattia, andando a riattivare il blocco della dopamina che, come ormai è noto, si verifica a livello dei cosiddetti Gangli della Base e in particolare in quello chiamato Sostanza Nera.
VIRUS COME TAXI DI GENI – La nuova terapia si basa su un principio terapeutico chiamato Prosavin che si avvale di vettori virali genetici, cioè di virus mutati in laboratorio per fungere da taxi cellulari a geni cosiddetti terapeutici che, una volta inoculati, avviano la produzione del neurotrasmettitore carente. I geni sono infatti lo stampo per la produzione di materiale proteico come quello che costituisce un neurotrasmettitore e introducendo il giusto stampo si riattiva la produzione di una qualsiasi proteina mancante o difettosa. Queste tecniche vanno sempre più diffondendosi: i virus usati dal Provasin (lentivirus della famiglia dei retroviridae) sono stati ad esempio già usati nella malattia dei “bambini bolla” i quali, per una carenza ereditaria dell’enzima ADa (adenosin deaminasi), non sviluppano i linfociti della difesa immunitaria e, restando così esposti a ogni infezione, sono costretti a vivere sotto una campana sterile, da cui il nome di bambini bolla.
TRE GENI – Nel caso del Parkinson i virus transfettati con tre geni fondamentali per riattivare la produzione di dopamina sono stati iniettati nel corpo striato subtalamico, area importante per il controllo del movimento che fa parte dei gangli della base. I primi 15 pazienti avevano un’età compresa fra 48 e 65 anni ed erano malati da almeno 5 anni. Sono stati scelti fra chi aveva avuto una risposta del 50% alla convenzionale terapia con levodopa e presentava fluttuazioni motorie, cioè transitori peggioramenti del quadro motorio. Tutti ricordano il Parkinson per il caratteristico tremore, ma questa malattia ha anche segni motori peculiari come la lentezza o il blocco dei movimenti, l’instabilità o la rigidità ed è soprattutto su questi che il nuovo trattamento vuole intervenire.
TRE DIVERSI DOSAGGI – Un problema che certamente si pone fin d’ora è la messa a punto del giusto dosaggio perché si opera su valori ancora più infinitesimali dei recettori cellulari sui quali agiscono i farmaci, cioè sulle codifiche geniche. Nello studio il Prosavin è stato infatti provato in tre diversi dosaggi, alto e medio in 12 pazienti e basso in 3. Già dopo 6 mesi tutti i pazienti, indipendentemente dal dosaggio, hanno riportato miglioramenti significativi alla scala UPDRS, lo strumento con cui si valuta la situazione motoria dei parkinsoniani, un risultato mantenutosi costante a distanza di altri 6 mesi. Al di là del fatto quasi scontato che si tratta del primo studio soltanto su un numero esiguo di pazienti, i primi dati sembrano incoraggianti se si considera anche il fatto che quando si va a sollecitare qualcosa di infinitamente piccolo come i geni non si sa mai cosa può succedere e a un anno dall’inizio del trattamento pure la tollerabilità è stata soddisfacente non essendo emerso alcun effetto collaterale di rilievo.
Fonte: corriere.it